Serie A 2021 – giornate 3 e 4

19 Ottobre 2020

The future is uncertain and the end is always near

Ci voleva una pandemia, della quale si stenta ancora a disegnare i confini, per ricordarci quanto precaria sia la nostra esistenza? Pare di sì. Non vale la pena addentrarsi negli stucchevoli dibattiti intrisi di risentimenti, fatti di certezze attinte chissà dove – né tantomeno soffermarsi sui confronti televisivi che dividono la popolazione in tifoserie, come se il problema fosse dimostrare che si aveva torto o ragione.

La vita ci regala altre due giornate di campionato e io ne scrivo per me, per Donatella, Alessandro, Antonello, Mario, Marco e chiunque voglia spendere un po’ del suo tempo a leggere queste righe.

Il calcio e l’immortalità dell’anima

Uno dei cavalli di battaglia di coloro che sostengono la teoria per la quale questa pandemia è una truffa disumana ai danni dei cittadini recitava, solo qualche mese fa: “Perché non si ammalano persone celebri? Eh? Perché? Perché?”. La domanda conteneva l’implicita risposta, chi aveva spazio per un dubbio se lo faceva venire. Poi mi pare abbia iniziato Boris Johnson, seguito da Briatore, Berlusconi, Mihajlovic, Djokovic, qualche calciatore minore. Poi Trump e consorte, preceduti da Bolsonaro, più una manciata di parlamentari italiani. Dimentico qualcuno di sicuro. Tutti presi nella trappola della positività.

Nell’ultima settimana, per quello che attiene a questa pagina più da vicino, si sono uniti alla lista Cristiano Ronaldo, Valentino Rossi, Francesca Pellegrini. E Ibra. Su Ronaldo e Ibrahimovic qualche riga la spendo, mentre mi rendo conto di non aver mai letto una ritrattazione da parte di chi sosteneva – a inizio paragrafo – che il covid è settario e risparmia le celebrità, quindi è una truffa.

Dei che cadono e si rialzano, spesso in area di rigore

La positività di Cristiano Ronaldo arriva sulla quarta giornata e pesa più del dovuto sul pareggio della Juventus a Crotone, sugli stenti d’inizio stagione dei campioni d’Italia. I media ci tengono a informarci che la sorella di Ronaldo ritiene che sia tutta una farsa, opinione che vale quanto la mia o quella della signora che stamattina alle sette e cinque mi dava il resto nel bar dove compravo il latte. Ma forse è utile per esacerbare gli spiriti già sfilacciati di tutta la popolazione, oppure per sottolineare che anche il pluridecorato Ronaldo è umano – e vicino al termine della carriera.

Ben diversa è la narrazione della positività di Ibrahimovic. Per i pochi che ancora non lo sapessero, Ibra si ritiene un dio e per molti lo è davvero. Il racconto della sua esperienza con il covid 19 è stata tutta improntata su questa falsariga: “Come si è permesso il virus di affrontarmi? Non sono io che ho il virus, è lui che ha me. Vincerò questa battaglia”. Ibra nello scorso turno di campionato è tornato in campo e ha segnato i due gol che hanno permesso al Milan di vincere il derby. Per i miscredenti come me i conti tornano fino a un certo punto: forse qualcosa alla divinità si deve concedere?

Il Milan comanda la classifica con quattro vittorie su quattro, l’allenatore Pioli ha costruito una squadra piena di giovani e dalle prospettive allettanti. Il sospetto è che, qualora la divinità che guida l’attacco dovesse avere un molto umano malanno al ginocchio che lo tenesse via dal campo a lungo, anche a Pioli i conti potrebbero non tornare.

La teoria della felicità

Il Napoli si ritrova in alto nella classifica dopo una terza giornata nella quale non va a Torino a giocare contro la Juve per via di un divieto della Asl imposto per la positività di alcuni tesserati. La Lega calcio lo punisce con partita persa a tavolino e un punto di penalizzazione.

La dimostrazione di forza con la quale annichilisce la celebratissima Atalanta di Gasperini nella quarta giornata, però, racconta una storia su cui soffermarsi. Al Napoli riesce tutto, all’Atalanta nulla. Passaggi di prima, calciatori che corrono come matti, si aiutano a centrocampo, qualcuno si fa trovare sempre libero e pronto a ricevere la palla, i tiri in porta fioccano e dato che sono anche molto precisi il primo tempo si chiude sul quattro a zero. La ripresa sarà una formalità e la chiave per me risiede nell’essere felici.

Dura poco ma fa la differenza

Li vedi giocare i napoletani, guidati dal grintoso Rino Gattuso in panchina, e percepisci che si stanno divertendo. A prescindere dal risultato, dall’avversario, dal covid, dalle condizioni ambientali: si divertono. Lo trovo un modo meraviglioso di arrivare al vertice della classifica, non è certo l’unico. E bisogna vedere quanto dura. Perché il problema della felicità non è la sua durata, in genere brevissima, quanto il saperla riconoscere nei pochi momenti in cui appare in tutta la sua commovente semplicità. Passaggio, passaggio, passaggio, cross in area, tiro, gol, tutti di corsa verso la panchina a festeggiare.

Senza Immobile una squadra immobile

La felicità era quella cosa che contraddistingueva anche la Lazio dello scorso anno o la stessa Atalanta fino alla terza giornata. Ma rispetto al passato entrambe le squadre hanno una posizione diversa. L’altr’anno erano libere da pensieri, quest’anno devono confermarsi, hanno la Champions’ League che le attende. E rimanere in cima, a una classifica come nella vita, è una questione complicata. Essere forti spesso non basta.

Ai laziali manca Senad Lulic da diverso tempo e Lucas Leiva sembra la controfigura del grandissimo cervello che ha guidato la squadra fino al recente febbraio. Lulic per me fa la differenza più di Immobile (con i suoi trentasei gol fatti e altrettanti mancati) perché ha quel modo di giocare imprevedibile, slavo, che fa impazzire gli avversari. Sembra sempre in ritardo, con la lingua penzoloni, sembra scoppiare da un momento all’altro. Poi si fa trovare sempre al posto giusto al momento giusto e segna un gol decisivo, compie un assist memorabile o un salvataggio al limite dell’area.

Lulic è uno di quei campioni con la faccia da uno qualunque, non si nota per i tatuaggi, ha i capelli normali, appare poco. Gli capitano cose umane come troncarsi una falange con un peso in palestra. Potrebbe essere un agente di commercio, un idraulico, un fumettista, ma sono abbastanza certo che troverebbe posto da titolare in qualsiasi formazione di qualsiasi epoca.

Comunque, se non vi convince la teoria sulla felicità, guardate su youtube la faccia di Luis Alberto mentre la sua squadra le prendeva con merito a Genova contro la Samp.

Velocità vs. felicità

Il calcio di oggi rispecchia piuttosto fedelmente lo spirito che pervade l’umanità: prima di essere umani bisogna essere veloci, tutto deve essere compiuto a velocità sempre meno umana. Sembra una buona tattica, quella di essere più veloci degli avversari, arrivare in anticipo, prevedere le mosse. Eppure mi chiedo: a che serve tutta questa velocità se poi si torna indietro?

Nel disegno qua sopra è rappresentato lo sviluppo tipico di un’azione d’attacco di una qualsiasi squadra moderna. La palla parte dal portiere e più o meno velocemente percorre i punti dall’1 all’8. Il passaggio numero 7 per me è fonte di amarezza e sconforto.

Perché una volta che sei arrivato al limite dell’area devi fare il passaggio numero 7? Perché quell’arretramento mostruoso che annulla i venti, trenta secondi precedenti che hanno portato dall’1 al 6 e ti fa perdere metri di campo? Perché dovrei essere felice se la palla parte dal punto 1 per ritornarci?
Come se io, arrivato a metà di un disegno, lo cancellassi non perché non sia soddisfatto del risultato, ma per paura di aggiungere dei tratti nuovi. Quindi torno indietro, cancello tutto e ricomincio. Una fatica mostruosa.

La riposta più probabile è: possesso di palla. Oggi le statistiche, che permettono a molti di lavorare in ambiente calcistico, contano più delle finte di Garrincha – per chi ne ha mai sentito parlare. Ricordo con angoscia un talentuoso calciatore brasiliano che vidi giocare qualche anno fa nella Lazio, si chiamava Felipe Anderson. Era un brasiliano autentico, un palleggio e una destrezza nel trattare il pallone molto superiore alla media. Eppure veniva impiegato come un postino che recapita pacchi con il motorino, con tutto il rispetto per i dipendenti delle poste.

Doveva attaccare, ma anche “coprire la fascia”. Su e giù per la fascia destra una, due, dieci volte, fino a perdere la lucidità una volta giunto al limite dell’area. Così è il calcio di oggi, prevale la tattica e la statistica sul genio e l’inventiva. E quando si perdono di vista i cardini su cui costruire quell’effimera felicità che ci motiva tutti per stare al mondo – che può essere un bel disegno, un sorriso tra estranei, ma anche una finta estemporanea che mette a sedere l’avversario – significa che collettivamente abbiamo un problema grosso: le mascherine sì o no c’entrano proprio poco.

Alla prossima puntata, se il virus ce lo permetterà.