Serie A 2021 – giornate 9 e 10

16 Dicembre 2020

Se ne vanno gli eroi

Che parola grossa, eroe. Sproporzionata per quasi chiunque, figuriamoci per uno che di professione tira calci a una palla. Eppure sappiamo tutti che chi segue il calcio ha una scala di valori interiore tutta sua. Eroe può essere un portiere che para un rigore, un difensore che in scivolata salva la porta da un gol altrimenti sicuro; un centrocampista che indovina il passaggio decisiva o l’attaccante che lo tramuta in gol. L’allenatore che indovina un cambio per raddrizzare l’esito di una finale. Oppure puoi chiamarti Paolo Rossi.

In questo duemilaventi diventato tomba per una quantità di celebrità più o meno care alla popolazione, la morte di Paolo Rossi mi obbliga a pensieri forse non particolarmente interessanti. Ma tant’è: non pensavo che sarei sopravvissuto a Paolo Rossi, più volte “hombre del partido” in quel favoloso mondiale spagnolo che ci consacrò campioni del mondo. Rossi ha rappresentato il riscatto, i sogni, le speranze, il desiderio e il bisogno di identificarsi con una figura positiva anche se non sempre vincente. Uno come Rossi dovrebbe morire quando è certo che nessuno al mondo si ricordi ancora di lui.

Ha conosciuto l’onta della squalifica per le scommesse nel calcio, ha pagato, si è ripreso. Per la mia generazione non era una persona comune agli altri. Non era un uomo da copertina se non per le sue incursioni in area di rigore. Con tre menischi su quattro in meno nelle ginocchia, cosa che alla fine degli anni settanta nella maggior parte dei casi portava alla fine prematura della carriera, me lo ricordo imperversare nell’area della Lazio in un Lazio-Vicenza (o Lanerossi Vicenza, come era all’epoca) del campionato 1977-78. Fece tre gol, il Vicenza vinse tre a uno.

I suoi gol erano raramente spettacolari. Ma andate a rivederli, quei gol. Dovunque si trovi mentre si sviluppa l’azione, Rossi si trova quasi sempre da solo in area al momento dell’arrivo della palla. Come se sapesse in anticipo cosa succederà, riuscendo così a guadagnare quel metro, rispetto al difensore, che gli permetterà di mettere in porta abbastanza comodamente.

Poteva essere un caso, certamente, ma la quantità di casi accumulati nella sua carriera fa propendere verso l’ipotesi che no, impossibile fossero tutte coincidenze. Nella prima partita dei mondiali del 1978, l’Italia pareggia il gol iniziale della Francia con un’azione surreale, piena di rimpalli, spizzate, rimbalzi sulla traversa. Di tutti i presenti in area, quello che alla fine trova la deviazione decisiva – un colpo di stinco, forse – è Paolo Rossi. Un gol che lo rappresenta bene, secondo me. Al posto giusto nel momento giusto.

Previsioni sbagliate e meno sbagliate

Nella puntata precedente avevo parlato della Lazio, di un suo possibile recupero verso la forma smagliante dello scorso anno. Ci vuole un tonfo interno contro una caparbia – ma non certo irresistibile – Udinese a far rientrare la previsione. La Lazio non è quella dello scorso anno, ne saranno felici tutti i commentatori che sostengono che senza rigori a favore la squadra non vale molto. Bene per loro.

Nel frattempo si conferma la Roma, che continua a fornire prestazioni piene di vitalità anche quando il Sassuolo la costringe a un discusso zero a zero casalingo. I miei amici giallorossi commentano finalmente in modo un po’ più sereno le loro vicende e questo non può che fare bene a tutta la città. Anche quando il Napoli, nella prima partita dell’epoca post Maradona, le infligge un quattro a zero che non ammette repliche, la Roma di questa stagione sembra in grado di scrollarsi presto dalle spalle le giornate storte.

Per dimostrare che non c’è nulla di persecutorio nei confronti dei giallorossi il Napoli ne fa quattro anche al Crotone nel turno successivo. Queste due mi sembrano pienamente in corsa per il vertice della classifica, insieme all’immortale Juventus, che gioca male e non trova una sua identità, ma sta sempre lì, capace di ribaltare il derby vincendo nei minuti finali – e alle due milanesi, finalmente in cima al torneo insieme dopo tanto tempo.

A proposito di previsioni sbagliate, avevo scritto che senza Ibra il Milan forse non sarebbe stato lo stesso: con un due a zero casalingo contro la Fiorentina e un due a uno alla Samp fuori casa, se ci sono differenze con o senza Ibra la classifica di sicuro non se ne accorge. Ma anche l’Inter dimostra che di Ibra non ha proprio bisogno, ne fa tre al Sassuolo e tre al Bologna e tallona i cugini da vicino.

Chi ama il calcio e chi “ancora con il calcio?”

Certo che è difficile essere appassionati di calcio in questi anni. Ci sono troppe cose palesemente assurde. Per esorcizzare ne elencherò qualcuna:

1- le scene dei calciatori quando si buttano per terra come fulminati da un infarto e spesso invece non hanno preso neanche un colpo. Allenatori, davvero volete che i vostri si comportino in modo così squallido?

2- la scarsa qualità degli arbitri, l’incapacità di valutare le situazioni, le ammonizioni date a caso,la quantità di errori più o meno rilevanti nel corso di una sola partita.

3- i passaggi al portiere da metà campo. Si gioca a calcio o a calcetto?

4- le scene dei calciatori l’ho già scritto? (non se ne può veramente più, eh).

5- i calciatori usati come fossero attori di Hollywood, costretti per contratto a fare scene per i montaggi televisivi. Non che prima fosse così diverso, ma guardate questa foto presa dalla rete, chissà chi l’ha scattata, in cui Di Chiara e Giordano della Lazio, Conti e Di Bartolomei della Roma, giocano sul bagnasciuga con un SuperTele – croce e delizia dei nostri ricordi infantili per la sua propensione a fregarsene delle leggi della fisica. Non un tatuaggio, corpi atletici ma umani. Il mare poteva essere quello di Ostia o Fregene, non le Maldive. A me manca questa cosa.

Foto tratta dalla pagina facebook “La poesia del calcio”, attribuzione non possibile


6- gli stadi vuoti – per quanto alcuni stadi pieni mi abbiano infastidito quasi allo stesso modo in passato.

Vi immaginate che bello se le partite di serie A, invece che giocarsi in questi stadi enormi nella loro vuotezza (non suscitano una tristezza infinita?), si giocassero nei campi di periferia? Dato che non occorrono spalti perché non è ammesso il pubblico, non sarebbe meraviglioso?

Penso spesso a chi mi dice “ancora con il calcio? Io non lo seguo da trent’anni”. E vabbè, allora lasciamo tutto a chi fa i miliardi con o senza la presenza del pubblico. A chi ha deciso che le tv a pagamento debbano contare più della Domenica Sportiva o di Novantesimo minuto. A chi impone che il colore della maglia possa essere piegato alle esigenze del merchandising. Ma poi non lamentiamoci se il calcio fa schifo, come tante altre cose delle nostre vicende collettive. E se i giovani seguono dei manichini che si insultano in tv invece di un uomo comune che diventa “hombre del partido“.