Una storia

29 Ottobre 2020

La vita di mio nonno paterno è durata novantanove anni. Nato nel 1899, arrivò a un passo dal 2000. Statisticamente sarebbe stata una curiosità, avremmo potuto dire – noi discendenti – che aveva vissuto a cavallo di tre secoli.

Anche se con tutta probabilità non vorrei fare a cambio, la lunghezza della sua vita mi ha sempre impressionato. Nel decennio in cui nacque accaddero eventi memorabili – come in qualsiasi decennio, del resto, ma ciò che voglio sottolineare è quanto lontani appaiano questi eventi ad uno che scrive nel 2020.

Vincent Van Gogh si tolse la vita. Furono disputate le prime Olimpiadi dell’era moderna – le prime Olimpiadi, accidenti! Marconi brevettò la radio e i coniugi Curie scoprirono il radio. Dalla centrale idroelettrica di Tivoli fu sperimentata per la prima volta la trasmissione di energia elettrica a corrente alternata. Da qualche anno, inoltre, era iniziata la questione delle colonie italiane in Africa – Eritrea, Somalia. L’aspettativa di vita in Italia era di quarantadue anni (oggi il paese con l’aspettativa di vita più bassa è la Sierra Leone con cinquanta anni).

Immagine tratta da http://www.tivolitouring.com

Cent’anni

Quando mio nonno morì era arrivata da qualche anno la rete in Italia. Internet, i modem già a 56k che sembravano velocissimi rispetto ai primi 28.8k. Il nonno era nato in un mondo arcaico e morto in un film di fantascienza. Come sia riuscito a tenere insieme l’anima senza uscire fuori di testa, lui come i suoi coetanei, è qualcosa che sfugge alla mia comprensione.

Immagine tratta da https://www.sostariffe.it/

I nazisti dell’Illinois

Se non ricordo male, nell’anno della sua morte avevo già intrattenuto una corrispondenza con il responsabile di un gruppo di negazionisti americani, che fu più o meno la prima cosa che mi venne in mente di fare con la connessione a internet. I negazionisti dell’epoca erano altra cosa rispetto a quelli di oggi per cui “non ce n’è coviddi” e a me suscitavano una curiosità insopprimibile. Ce l’avevano con i dati e le ricostruzioni storiche intorno ai campi di concentramento, ne negavano non tanto l’esistenza quanto le funzioni che noi comuni mortali gli attribuiamo. Niente camere a gas secondo loro: i numeri erano tutti sballati, alcuni di loro citavano storici europei e studi che, in apparenza, sembravano meticolosi al limite del paranoico. Ricordo allegati di planimetrie dei campi di concentramento con tanto di misure dettagliate.

Dopo qualche mese di corrispondenza l’interesse reciproco svanì. Nonostante un rispetto formale che ci riconoscevamo e teneva in piedi quel tentativo di comunicazione che oggi sarebbe più difficile attuare, apparve evidente che non saremmo riusciti a trovare un punto di contatto. Laddove lui diceva che “sei milioni di morti è una cifra impossibile”, io non potevo prescindere dal fatto che fossero stati anche tre – tre di numero, non tre milioni – mi sarebbe parso troppo. Fu lì forse che mi resi conto che i dati e i numeri sono sì importanti, a volte fondamentali, ma non dicono la verità con la V maiuscola più di quanto non la dicano altri modi di descrivere il reale. Quando gli citavo Primo Levi, lui tirava in ballo il “sentito dire” e il fatto che invecchiando la memoria tende a confondere realtà e fantasie.

Nostalgia canaglia

Questa faccenda dei negazionisti mi viene in mente scrivendo di mio nonno con tutta probabilità perché lui era fascista convinto. Sebbene non sbandierasse la sua appartenenza politica, è rimasto fascista anche quando la maggior parte dei suoi coetanei si trasformò in qualcos’altro per posizionarsi nella nuova Italia democratica. Quando morì, noi nipoti venimmo invitati a vedere se in casa sua c’erano cose che avremmo voluto prendere. Tra mobili antichi, specchiere, oggetti di antiquariato vari io portai a casa cinque libri. Tre trattavano di Mussolini ed erano stati stampati durante il ventennio, gli altri due erano i trattati di Darwin, fascistamente rinominato Carlo, sull’origine delle specie e dell’uomo. Chissà, forse in casa serviva un supporto teorico dopo lo scempio delle leggi razziali del ’38 e Darwin poteva essere una sponda utile, sebbene involontaria.

Non è che si possa scegliere la famiglia e il contesto in cui si nasce. Ho sempre avuto un certo timore reverenziale, rispetto, forse a tratti anche invidia, per alcuni miei coetanei i cui genitori erano staffette partigiane; ne ho ascoltato i racconti pieni di nostalgia, amore e rispetto per uomini e donne i cui tratti distintivi – nelle parole di chi raccontava – erano il coraggio e la nettezza nelle prese di posizione, nelle scelte di vita. Avrei voluto nascere con un pedigree più rispettabile e questo fu un cruccio a lungo, per me. Solo più tardi avrei compreso che non sempre gli alberi genealogici rendono in automatico le persone migliori.


Ad ogni modo, di mio nonno paterno preferisco ricordare che ha quasi visto tre secoli ed è vissuto in quello che più di ogni altro ha segnato, con velocità disumana, la trasformazione del genere umano. Se ne scrivo è perchè ho la sensazione che anche noi che viviamo questi mesi di diffusione di virus, di distanze sempre più pronunciate, non solo in senso fisico, saremo testimoni involontari – forse cavie? – di trasformazioni impensabili.